Il racconto delle collezioni

Villa Carlotta viene da voi, entra nelle vostre case, si racconta e vi racconta la sua storia, le vicende e le opere che popolano le sue sale, i suoi abitanti e i sentieri del parco, che durante tutto l'anno si vestono di colori meravigliosi, stagione dopo stagione.

Vorremmo accompagnarvi - su questa pagina, ma anche su Facebook e su Instagram - alla scoperta delle nostre collezioni. Questo racconto crescerà nel tempo, e si arricchirà di testi, immagini, approfondimenti.

Buon viaggio.

Da questo atrio, con le porte spalancate su una delle più belle vedute del lago di Como e su una splendida giornata di primavera, comincia il nostro tour all’interno della “casa delle belle arti”, come Giovanni Battista Sommariva - che acquistò Villa Carlotta dalla famiglia Clerici nel 1801 - amava definirla. Sculture, fregi, dipinti, oggetti da collezione sono esposti nelle luminose sale della Villa che visiteremo. Alcuni hanno cambiato posto nel tempo ma tutti sono costantemente oggetto di cura, conservati e restaurati per deliziare i visitatori, anno dopo anno, generazione dopo generazione.

Oltre l’atrio, attraversiamo lo spettacolare Salone dei marmi, la Sala dei gessi e quella dei cammei e - poco alla volta - ve ne racconteremo le opere e le storie.

Il Salone dei marmi come ci appare oggi, dopo aver attraversato l’atrio che ha davanti il lago e, oltre, la splendida Bellagio.
Fino all’inizio degli anni 2000, questo spazio - ampio e arioso - aveva mantenuto l’allestimento pensato dagli ultimi proprietari di Villa Carlotta; in occasione del riconoscimento della Villa come museo, è stata progettata una nuova distribuzione degli spazi e spostate in altre sale le opere d’arte che si vedono contro la parete nell’immagine successiva.

In questo modo, le sculture sono state poste in ulteriore evidenza e valorizzate, mentre il Salone è divenuto più funzionale e si è recuperato spazio utile a ospitare il pubblico in occasione dei tanti eventi e concerti che ogni anno animano la stagione di Villa Carlotta.

Nella versione attuale, è in evidenza la volta carenata realizzata dal maestro Lodovico Pogliaghi (1857-1950), sotto le direttive del duca Giorgio II, che con i lavori ha recuperato la sua originaria pulizia e nitidezza.

Nel Settecento, quando Villa Carlotta apparteneva ai marchesi Clerici, nell’attuale Sala dei Gessi si trovavano un comodo salotto con divani imbottiti e tavolini da gioco, dove gli ospiti si divertivano passando momenti spensierati e frivoli tra chiacchiere, tazze di cioccolata calda o fumando tabacco.
Restaurata in stile neoclassico all’inizio dell’Ottocento con Giovanni Battista Sommariva, nella sala fu sistemato anche un tavolo da biliardo, uno degli svaghi preferiti dalla nobiltà che lo praticava con stupende tavole, veri e propri pezzi d’arredo.

Come ci svela la fotografia d’epoca, il biliardo fu rimosso tra fine Ottocento e inizio Novecento ma la stanza continuò a essere un luogo di ritrovo e di divertimento. Oggi è una delle sale più visitate del Museo, dove si possono ammirare - ancora nella loro collocazione originale - i modelli per l’Arco della Pace di Milano e il gesso originale della Musa Tersicore, emozionante capolavoro di Antonio Canova.

A Villa Carlotta si conserva il modello originale in gesso della “Tersicore” di Antonio Canova. La statua in marmo della Musa della danza e della lirica corale è stata interpretata dallo scultore con un’iconografia meno consueta come Musa della poesia lirica.

La particolarità di questo gesso è il fatto che reca ancora intatte le “repère”, tracce del processo creativo con il quale Canova dava vita ai suoi capolavori. Antonio Canova era solito organizzare rigorosamente la sua attività in modo da aver sotto controllo ogni fase del lavoro: dal disegno a un primo bozzetto in creta, fino alla realizzazione di un modello in creta di dimensioni reali.

II passaggio al modello in gesso avveniva grazie alla tecnica della forma persa: si rivestiva il modello in creta di un leggero strato di gesso rossastro e quindi di un ulteriore strato di gesso bianco che, indurendosi, andava a formare un vero e proprio calco che, separato dal suo interno, veniva nuovamente riempito di gesso al fine di creare un nuovo modello tridimensionale sul quale venivano inserite le rèpere, chiodini di ferro usati dagli allievi come punti di riferimento per trasferire le misure del gesso sul blocco di marmo e procedere alla sua sbozzatura.

L'opera a quel punto riceveva quella che lo stesso Canova chiamava “l’ultima mano: fase del lavoro esclusivamente riservata al maestro, che si dice lavorasse a lume di candela per garantire una perfetta resa dei volumi e delle ombre.